Psicoterapia e plasticità cerebrale

Psicoterapia e plasticità cerebrale

Le ricerche scientifiche evidenziano che una psicoterapia efficace agisce, grazie alla plasticità cerebrale che consente la riorganizzazione i circuiti che collegano le cellule cerebrali (neuroni) che possono creare nuove connessioni che a loro volta determinano esperienze nuove per il soggetto.

Oltre ai periodi che caratterizzano le fasi principali dello sviluppo cerebrale (infanzia e adolescenza), a differenza di quanto ancora molti erroneamente ritengono, sia nell’adulto che nell’anziano che non ha patologie particolarmente gravi, è presente una certa plasticità sia pure in misura minore.

Negli Stati Uniti i percorsi di psicoterapia intrapresi anche da persone over 50 sono molto diffusi e spesso, per modificare stili di vita disfunzionali appresi precocemente che sono causa di sofferenza psicologica.

Il caso significativo riportata come esempio da Daniel Siegel (membro illustre della American Psychiatric Association, direttore del Mindsight Institute e del Lifespan Learning Institute) nel corso di una intervista con Daniel Goleman (psicologo, autore del noto saggio “Intelligenza emotiva“, 1995, tradotto in 40 lingue), riporta l’esempio di una donna di novantun anni: «Io lavoro con persone che hanno anche novant’anni e quello che emerge è che anche a quest’età si può apprendere l’abilità della mindsight…la persona a cui sto pensando è una donna che ha più di novant’anni e che è cresciuta in una famiglia in cui nessuno riconosceva veramente le sue emozioni – nessuno mai se ne occupava. Non avevano il cosiddetto linguaggio mentale, cioè il linguaggio che parla della mente».

La «mindsight» è la capacità di comprendere la propria mente o di comprendere la mente di un altro, Siegel sostiene che non è mai troppo tardi per sviluppare tale capacità e risponde così alla domanda di Goleman: «Linguaggio mentale.… che genere di parole ci sono nel linguaggio mentale?», Siegel risponde: «Ad esempio i pensieri, gli stati d’animo, gli atteggiamenti, le intenzioni. Che cosa pensi? Che cosa speri? Quali sono i tuoi sogni? Queste sono tutte parole che riflettono la mente e bisogna capire se una famiglia le parla veramente…». 

Riguardo alla paziente in esame «… Invece, per come andavano effettivamente le cose nella sua famiglia, lei arrivava a casa triste e veniva punita perché non era più allegra. Siccome piangeva, le davano da fare qualche faccenda: lei piangeva e loro le dicevano: “Smetti di piangere”. Quindi si concentravano solo sul suo comporta-mento. Quando l’ho vista per la prima volta in terapia a novant’anni, non aveva un vocabolario adeguato a parlare della mente. Era veramente una brava persona, aveva realizzato varie cose, cresciuto i suoi figli e interagiva con i nipoti sul piano dei loro comportamenti. Quindi non si può dire semplicemente che non fosse socievole; il punto è che vedeva solo il lato comportamentale della realtà, il lato fisico della realtà, non quello mentale. Per cui c’era bisogno di insegnarle questo: nei nostri colloqui dovevo parlarle della sua mente». Continua Siegel: «…dopo un anno di terapia, questa donna ha sviluppato una consapevolezza del suo corpo che prima non aveva. Parlo delle sensazioni soggettive interiori. Ha sviluppato un lessico mentale che le con-sente di tradurre in parole ciò che accade dentro di lei, il che in realtà è un aspetto fondamentale di ciò che chiamiamo consapevolezza – la capacità di etichettare e descrivere a parole la vita interiore della propria mente… davvero, ci è riuscita a novantun anni!». 

Goleman interviene: «Prima hai detto che su una parte del cervello di questa donna aveva influito il modo in cui i genitori si rivolgevano a lei, il modo in cui la trattavano da bambina, e che a novantun anni è ancora alle prese con lo stesso modello. Questo suggerisce in modo convincente che ciò che ci succede nell’infanzia possa forgiarci per tutta la vita, e che abbia una base neurale».

«Direi che è proprio così – conferma Siegel -… nel caso di questa donna, come nella situazione di molte altre persone, quando non hai compreso quello che ti è successo non fai altro che ripetere i modelli di apprendimento scritti nelle connessioni neurali del cervello… il caso di questa novantunenne e di molte altre persone dimostra che, compiendo tutti questi processi corporei, emozionali e cognitivi profondi e integrandoli tutti, possiamo dare senso a ciò che ci è capitato e poi fare un passo ulteriore, rinunciare veramente a quegli adattamenti e liberarci da queste prigioni del passato che condizionano davvero pesante-mente molti, molti di noi». 

I processi corporei emozionali e cognitivi che consentono di avviare un processo di cambiamento e di crescita personale sono parte integrante di quanto accade nella relazione psicoterapeuta/cliente, in altre parole non si tratta semplicemente di ricordare un’esperienza del passato e di raccontarla allo specialista ma di realizzare un processo di elaborazione che integra le sensazioni corporee con le emozioni e i pensieri che assumono un significato nuovo grazie alla plasticità (flessibilità) delle nostre connessioni neuronali, plasticità che facilita l’utilizzo delle capacità di mindsight che ci accompagna durante l’intero ciclo di vita. 

La psicoterapia in questo modo non è più un’opportunità riservata soltanto a bambini e adulti ma può diventare un’esperienza che consente di realizzare un processo di cambiamento anche nelle persone che vivono nella terza età.

Bibliografia:

  • Goleman, Intelligenza sociale ed emotiva, Erickson, 2014

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