Quando parliamo di gruppi d’incontro nella terapia centrata sul cliente, ci riferiamo ad una filosofia di stampo fenomenologico esistenziale che intorno agli anni ’60-’70 accomunò una serie di tecniche, di modelli e proposte teoriche e divenne un vero e proprio movimento sociale. Con il termine “incontro” il movimento proponeva di creare capacità che fossero in grado di recuperare e valorizzare le potenzialità evolutive e creative di un incontro interpersonale, libero dalle convenzioni sociali e comportamentali, tanto da produrre un radicale cambiamento delle qualità delle relazioni sociali verso una maggiore autenticità. In questo tipo di gruppo si deve parlare di obiettivi di crescita personale, attraverso la scoperta di ciò che di sé è nascosto o bloccato. Carl Rogers ha avuto un ruolo formativo importante in questo movimento, tanto che il gruppo di incontro rogersiano fu possibile applicarlo in una serie di campi nei quali il rapporto umano è centrale:dall’insegnamento all’educazione, alla formazione di insegnanti, in campo religioso e politico, nonché in ambito psicoterapico. Utilizzando il gruppo di incontro come forma di psicoterapia, il termine “centrato sulla persona” si trasforma in “centrato sul cliente” intendendo un atteggiamento del terapeuta verso la persona aiutata che non viene etichettata come malata, ma come esperta e responsabile del proprio cambiamento, le viene cioè conferita pari dignità e responsabilità all’interno della relazione, ridimensionando così il ruolo dell’esperto-terapeuta. Anche per questo, la terapia centrata sul cliente, è stata definita una terapia non-direttiva. L’applicazione di questo metodo permette una modalità di fare gruppo che tende ad esaltare la crescita autonoma della persona, perché si propone in termini non valutativi e diagnostici. Nel gruppo di incontro si ascolta e si è ascoltati, senza pregiudizi, in un clima di accettazione dell’altro, in cui conta non tanto trovare soluzioni istantanee ai problemi, ma scoprire le proprie risorse interiori, poterle affrontare positivamente, con più forza. In questo senso il gruppo non viene diretto dal conduttore, ma soltanto facilitato nello svolgersi del processo di discussione sulle tematiche che il gruppo stesso si sceglie e intende affrontare. In questi gruppi il conduttore viene definito infatti “facilitatore” e ha il compito di creare e mantenere un contesto relazionale positivo di reciproca accettazione, dove ognuno possa sentirsi libero di esprimere se stesso, le proprie emozioni, le proprie modalità relazionali. In questo modo si realizzano gradualmente libertà di espressione e riduzione degli atteggiamenti difensivi. Al facilitatore vengono chieste attitudini personali quali l’ascolto e l’accettazione, ma anche una seria preparazione ai metodi rogersiani, quali capacità di percepire il senso delle espressioni verbali e non, la capacità di rimandarle empaticamente ad ogni singolo membro del gruppo dando l’esatto significato che ha per lui riuscendo però anche a tenere il filo dell’intero processo del gruppo. Egli, inoltre, deve essere congruente e attento a ciò che accade dentro di sé. Come per la psicoterapia individuale, anche nel gruppo il facilitatore deve possedere tre condizioni necessarie e sufficienti affinché si possa promuovere un cambiamento nell’altro, esse sono la congruenza, l’accettazione positiva incondizionata e l’empatia nei confronti del cliente. Il gruppo di incontro, come la persona in psicoterapia, attraversa vari stadi del processo terapeutico che lo rendono via via più maturo e capace di guardarsi dentro. Si può dire che inizialmente nel gruppo ci sia uno stato di incongruenza, cioè di incapacità a percepire emozioni vissute e a vederle negli altri. Si nota resistenza all’indagine personale e i sentimenti vengono ritenuti pericolosi. Via via che il gruppo prosegue, le persone si “scoprono” e prima descrivono soltanto ciò che provano poi gradualmente ogni membro si sente parte del gruppo e si incoraggia ad esplorare parti di sé. Si rompono le facciate, il gruppo assume in se stesso una capacità curativa. Vengono espresse parti di sé positive ma anche negative. A questo punto il gruppo è capace di incontrarsi in un contatto reciproco più intimo che assomiglia alla relazione io-tu. E’ in questo clima di fiducia e di accettazione che avvengono i più grandi cambiamenti.